“I miei occhi sono sempre rivolti al Signore,
perché libera dal laccio i miei piedi.
Volgiti a me e abbi misericordia, Signore,
perché sono povero e solo” (Sal 24, 15-16).
Colletta
Padre santo e misericordioso, che mai abbandoni i tuoi figli e riveli ad essi il tuo nome,
infrangi la durezza della mente e del cuore, perchè sappiamo accogliere con la semplicità
dei fanciulli i tuoi insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione.
Questa terza domenica di quaresima C ci ricorda che il regno di Dio è vicino.
Nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo (3, 1-8.13-15) abbiamo narrata la storia di Mosè che, sul monte, si avvicina al roveto che non si consuma.
Mosè passa dalla casa del faraone al deserto, dove si trova a pascolare il gregge di Ietro che poi diventa il suocero.
Egli viene chiamato dal Signore Dio per la missione di tornare in Egitto.
Alle difficoltà che presenta il Signore risponde che Egli è “Io sono”. Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe.
Anche la seconda lettura – tratta dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi (10, 1-6.10-12) – ci parla di Mosè:
tutto il popolo fu sotto la nube, tutti attraversano il mar Rosso, tutti mangiarono e bevvero lo stesso cibo e la stessa acqua.
Ma il Signore Dio non si compiacque di loro per la mormorazione che avevano in cuore.
Questo è stato scritto per ammonimento nostro.
Nel Vangelo di Luca (13, 1-9) abbiamo la narrazione da parte di Gesù di due episodi di cronaca nera, come diremmo noi:
il sangue di quei Galilei che Pilato aveva mescolato con i loro sacrifici e la morte di quei diciotto su cui cadde la torre di Siloe.
La domanda che pone Gesù è interessante: erano colpevoli o peccatori più degli altri?
Gesù sembra dire che non è questa la questione, ma ci avverte che se non ci si converte a Dio la fine è la rovina eterna, non solo la morte fisica.
Gesù in questi due episodi non sta a giustificare il male nel mondo, la cattiveria degli uomini, o sta ricercando la colpa: egli chiede solo la conversione.
Ne è prova la parabola che segue: il fico sterile. Perché tenerlo in vita se è secco e non da’ frutti?
Il contadino risponde al padrone: “Lascialo ancora quest’anno, finché gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire, se no, lo taglierai”.
A tutti è data la possibilità di convertirsi, e il Signore dà tempo a che ci si ravveda.
Per noi, invece, è facile giudicare i “fatti di cronaca”: erano peccatori, erano senza Dio. Spesso siamo superficiali.
Il Signore Gesù ci invita, invece, a non giudicare e a non ricercare le colpe degli altri, ci chiede la nostra conversione, la nostra adesione a Lui,
il nostro sì a Lui. È qui la chiave di volta.
Il tempo che il Signore ci dona è per aderire sempre di più a Lui, non per giudicare e condannare l’operato altrui.
Il contadino fa il suo lavoro, zappa concima…ma poi è l’albero che deve dare i frutti. Siamo noi che dobbiamo dare frutti.
Fate penitenza il regno di Dio è vicino
(Es 3, 1-8.13-15: sl 102: 1Cor 10, 1-6.10-12: Lc 13, 1-9) “Mosè pascola il gregge di Jetro suo suocero e andando arrivò all’Oreb.
Gli apparve l’angelo del Signore in una fiamma di fuoco nel roveto. Voleva avvicinarsi Mosè per vedere quello spettacolo.
A quale idolo, mio Dio, si potrebbe dare un nome? Quale idolo si chinerebbe a noi? Quale idolo si piegherebbe ai nostri desideri?
Mio Signore, fa che io mi converta e creda.
Creda alla tua Parola, creda al tuo amore per me.
Creda alla tua pietà verso di noi. Tu solo Signore della nostra storia puoi aver pietà e soccorrerci”.
(Madre Elvira del SS.mo Sacramento, III dom. di quaresima, agenda 59).
Preghiamo con il salmista: Il Signore ha pietà del suo popolo.
In questa settimana:
25 marzo: Annunciazione, solennità