Santa Teresa Benedetta della Croce (1891- 1942)
Edith Stein
“Nacque a Breslavia nel 1891 da una famiglia ebrea. Già nota negli ambienti culturali tedeschi come assistente universitaria del filosofo Edmund Husserl, si convertì al cattolicesimo nel 1922 e condusse per vari anni un impegnativo apostolato laico come scrittrice e conferenziera nella sua patria e all’estero. Nel 1933 entrò nel Carmelo di Colonia, prendendo il nome di Teresa Benedetta della Croce. A causa delle persecuzioni naziste nei confronti degli ebrei, nel 1938 riparò in Olanda nel monastero di Echt. Qui venne arrestata dai nazisti il 2 agosto 1942 e, insieme ad altri ebrei, deportata ad Auschwitz, dove fu uccisa nella camera a gas pochi giorni dopo il suo arrivo. Donna di singolare intelligenza e cultura, ha lasciato una vasta produzione filosofica-teologica attraversata da una intensa ispirazione mistica. È stata beatificata il 1 maggio 1987 da Giovanni Paolo II, che l’ha poi canonizzata nel 1999”. (Emanuele Boaga, O. Carm., Con Maria sulle vie di Dio, p. 306). È compatrona d’Europa insieme a S. Brigida di Svezia e a S. Caterina da Siena. La sua festa liturgica è il 9 agosto.
Edith nacque a Breslavia – appartenente allora alla Germania, oggi alla Polonia – da una famiglia ebrea. A due anni resta orfana di padre e la mamma Augusta, donna forte ed energica, guida la numerosa famiglia e l’azienda. Verso i 15 anni Edith attraversa un periodo di crisi e abbandona la scuola, la riprende però l’anno dopo. Compie gli studi universitari a Breslavia per 4 trimestri, poi si trasferisce a Gottinga per seguire le lezioni di Husserl, premio Nobel per la filosofia. Le ci vorranno anni per riconoscere che a Gottinga non è riuscita a trovare la verità che andava cercando, quella verità che solo Cristo – con la sua passione in Croce – le rivelerà. Nel 1916 segue Husserl, come sua assistente all’università di Friburgo, fino al 1921. Nel periodo del primo conflitto mondiale presta servizio come infermiera volontaria della Croce Rossa in Moravia. La sua dedizione a questo lavoro le farà meritare la medaglia al valore.
Nel 1917 visita la vedova di Adolph Reinach, suo carissimo amico. L’abbandono alla Volontà di Dio di questa donna scosse Edith. In quel momento Cristo, nel mistero della Croce, si levò raggiante davanti ai suoi occhi. Una sera d’estate del 1921, mentre era ospite in casa di amici, le capita in mano la “Vita di S. Teresa d’ Avila”. Rapita e affascinata, lo lesse in una notte e concluse: “Questa è la verità”. Il Dio che tanto aveva cercato, intravisto nella speculazione filosofica, le si comunicava: Verità di grazia e di amore che placava la sua fame e saziava la sua sete. Il 1 gennaio 1921 riceve il Battesimo e la Prima Comunione. Il suo direttore spirituale non le permette di entrare al Carmelo, secondo il desiderio che era nato in lei già al momento della conversione. Per dieci anni insegna presso l’ ‘Istituto Magistrale delle Domenicane di Spira. Lasciato poi l’insegnamento cominciò la sua attività di conferenziere che la portò in quasi tutte le città della Germania, della Polonia e dell’Austria. Nel 1932 è docente presso l’ Istituto di Pedagogia di Műnster. Ma l’anno dopo, a causa dell’ascesa al potere di Hitler e delle nuove leggi di discriminazione razziale, è obbligata a lasciare l’insegnamento. Non riuscendo ad ottenere udienza privata dal Papa Pio XI, gli scrisse una lettera profetica ma, la risposta tanto attesa, fu “solamente” una particolare benedizione per lei e la sua famiglia. Sente ormai chiaro che deve seguire la sua vocazione al Carmelo: nel 1934 entra nel Carmelo di Colonia. Alla vestizione prenderà il nome di Teresa Benedetta della Croce. Presto, per volere dei superiori, riprenderà i suoi studi filosofici, pur non trascurando i lavori domestici. Riprende e termina la redazione della sua opera filosofica maggiore: “Essere finito e essere eterno”. Dopo la morte della mamma, nel 1936, anche la sorella Rosa si fa battezzare ed entra al Carmelo e la seguirà fino alla morte nel campo di Auschwitz. Intanto, per la persecuzione nazista, S. Teresa Benedetta fu costretta a lasciare il Carmelo di Colonia e a rifugiarsi in Olanda nel Carmelo di Echt. Ma nel 1940 i tedeschi occupano anche l’Olanda. Allora sr Benedetta della Croce, consapevole di andare incontro alla morte con il suo popolo, si offre vittima con questo voto: “Fin d’ora accetto con gioia la morte che Dio ha disposto per me in perfetta sottomissione alla sua SS. Volontà, in espiazione dell’incredulità del popolo d’Israele”. Si offre come vittima espiatrice per la vera pace: “So di essere un nulla, ma Gesù lo vuole”. Teresa Benedetta abbracciò la croce perché sapeva con certezza che la Croce di Cristo, segno supremo dell’Amore di Dio, era la risposta alla sua ricerca di verità. Questo il credo che lasciò scritto: “Credo in Dio, credo che la natura di Dio è Amore, credo che nell’amore l’uomo esiste, è sostenuto da Dio, è salvato da Dio”. Nel 1942 Teresa Benedetta e sua sorella Rosa vengono prelevate dalle SS e condotte al campo di concentramento di Auschwitz. Moriranno entrambe nelle camere a gas.
Dall’opera «Scientia Crucis» di santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, vergine e martire (Edizioni OCD, Roma 1998, pp. 38-39)
La porta della vita si apre ai credenti in Cristo
Cristo s’era addossato lui stesso il giogo della legge, osservandola e adempiendola perfettamente, tanto da morire per la Legge e vittima della Legge. Nello stesso tempo, tuttavia, Egli ha esonerati dalla Legge tutti quelli che avrebbero accettata la vita da Lui. I quali però avrebbero potuto riceverla solo disfacendosi della propria. Infatti «quanti sono stati battezzati in Cristo sono stati battezzati nella morte di Lui». Essi si immergono nella sua vita per divenire membri del suo corpo, e sotto questa qualifica soffrire e morire con Lui; ma anche per risuscitare con Lui alla eterna vita divina.
Questa vita sorgerà per noi nella sua pienezza soltanto nel giorno della glorificazione. Tuttavia, sin da adesso «nella carne noi vi partecipiamo, in quanto crediamo»: crediamo che Cristo è morto per noi, per dare la vita a noi. Ed è proprio questa fede che ci fa diventare un tutto unico con Lui, membra collegate al capo, rendendoci permeabili alle effusioni della sua vita. Così la fede nel Crocifisso — la fede viva, accompagnata dalla dedizione amorosa — è per noi la porta di accesso alla vita e l’inizio della futura gloria. Per di più, la croce è il nostro unico vanto: «Quanto a me sia lungi il gloriarmi d’altro che della croce del Signore nostro Gesù Cristo, per la quale il mondo è stato per me crocifisso, ed io per il mondo». Chi si è messo dalla parte del Cristo risulta morto per il mondo, come il mondo risulta morto per lui. Egli porta nel suo corpo le stimmate del Signore; è debole e disprezzato nell’ambiente degli uomini, ma appunto per questo è forte in realtà, perché nelle debolezze risalta potentemente la forza di Dio.
Profondamente convinto di questa verità il discepolo di Gesù non solo abbraccia la croce che gli viene offerta, ma si crocifigge da sé: «I seguaci di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze». Essi hanno ingaggiato una lotta spietata contro la loro natura, per liquidare in se stessi la vita del peccato e far posto alla vita dello spirito. È quest’ultima sola quella che importa. La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa richiamo verso l’alto. Quindi non è soltanto un’insegna, è anche l’arma potente di Cristo, la verga da pastore con cui il divino Davide esce incontro all’infernale Golia, il simbolo trionfale con cui Egli batte alla porta del cielo e la spalanca. Allora ne erompono i fiotti della luce divina, sommergendo tutti quelli che marciano al seguito del Crocifisso.
Responsorio Gal 2,19-20
R. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. * Mi ha amato e ha dato se stesso per me.
V. Quello che io vivo nella carne io lo vivo nella fede del Figlio di Dio.
R. Mi ha amato e ha dato se stesso per me.