Monastero Carmelo Sant'Anna

Carpineto Romano

Brigante ’19

Ad ognuno il suo brigante: Bassiano, l’Appia e Piscinara controllate da  <Diciannove>

Ad ognuno il suo brigante. Le gesta di questi fuorilegge sono state tramandate di generazione in generazione e, molto spesso, anche romanzate. Il Lazio, come del resto tutto il sud della penisola a partire dalla fine del diciottesimo secolo, fino alla presa di Porta Pia il 20 settembre 1870, fu teatro di scorribande e leggende che ancora oggi intrigano e non poco. Il <movimento> nella maggior parte dei casi, nel nostro territorio, ebbe inizio per rifiuto al servizio di leva nelle file dei francesi. Ovvio che, vista la situazione di allora, anche il Vaticano appoggiasse velatamente ciò. Succedeva però che, in tale situazione, non erano solo i briganti braccati dalla gendarmeria ma anche e, soprattutto, i pastori sulle montagne che si trovavano tra l’incudine e il martello sia perchè ricevevano spesso la visita non gradita, a scopo rifornimento viveri, da parte degli stessi briganti e parallelamente anche sotto la lente di ingrandimento degli sbirri che chiedevano informazioni dettagliate sugli incontri: pena la galera o, addirittura, violente ritorsioni corporali. Tralasciando i pezzi da novanta che imperversavano sui monti Ausoni e Lepini (da Gasperone a De Cesaris, Masocco, Mastrilli, Panici, Frà Diavolo e compagnia bella) va detto che nel territorio tra la Campagna e la Marina (definizione questa per distinguere monti e palude) il più intraprendente fu un tale chiamato Diciannove, al secolo Domenico Regno nato a Carpineto Romano nel 1780 ma abitante a Bassiano).

Il nostro dopo aver scontato in gioventù una pena restrittiva, nel carcere di Terracina, per furto di bestiame una volta in libertà si nascose sui Lepini per dare la caccia ai militari francesi. Organizzò una banda di seguaci, ben diciassette,  formata da gente rozza e senza cultura pronta solo a farsi giustizia da sé tanto che tra i numerosi omicidi va annoverato anche quello dell’arciprete di Bassiano ritenuto troppo vicino alla gendarmeria <giacobina>. Nel 1814 in occasione dell’amnistia per il ritorno del Papa in Vaticano, dopo la vicenda napoleonica, si dichiarò prigioniero politico mostrando il proprio attaccamento al clero e repulsione verso i  francesi. Sposatosi, e abbandonata l’ispida barba e i lunghi capelli intrecciati, fece il viaggio di nozze proprio a Roma ma il vento stava cambiando e Diciannove, tornato in Bassiano, si mise nuovamente a taglieggiare i ricchi proprietari del suo territorio. Solo un anno dopo la riabilitazione fu perseguitato dalle guardie papaline e, per ordine del delegato apostolico Monsignor Ugolini,  catturato per essere processato a Frosinone venne ucciso nel territorio di Sezze, proprio durante il viaggio in Ciociaria,  mentre cercava di liberarsi per darsi nuovamente alla macchia. Il brigante Dicannove (che oggi nel gergo paesano significa ubriacone) fu molto importante per l’autorità, nel suo campo, che rivestiva nel controllo dei Lepini da Carpineto fino alla via Appia, passando per il vallone di Valvisciolo la macchia di Cisterna e Piscinara. Ogni movimento era sotto il suo controllo. Oggi di lui si ricordano principalmente le schermaglie contro i <giacobini> francesi  e soprattutto i numerosi agguati sfociati nel sangue.

Di Umberto Paluzzi

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