“Tutto prendeva voce e mi parlava dentro…”
“Dio, Tu mi hai accompagnato fin dalla mia giovinezza […]”, canta il
salmista. È stato Lui che ha messo in me un anelito all’eternità, a qualcosa
che va oltre le apparenze umane, alle cose del mondo, destinate a perire e a
dissolversi. Sì, è stata proprio questa percezione che mi ha fatto dire il
mio “sì”; io, piccola, insignificante creatura Sua, nata in un piccolo paese
sconosciuto a molti, in provincia di Padova, figlia di contadini, ho trovato
la forza di aderire a Lui.
Il mio papà ha poi lavorato anche in fabbrica, ma sono sempre stata fiera –
e tuttora non mi vergogno – di essere figlia di un contadino, perché è lì
che il Signore mi si è manifestato: nella mia quotidianità, nella semplicità
della natura. Amavo sin da fanciulla contemplare il cielo, le stelle, le
distese verdeggianti delle piantagioni del grano, delle viti.
Frequentai la scuola e poi mi diressi verso il lavoro, per aiutare la
famiglia. È stata anche l’esperienza a diretto contatto con la fatica di
ogni uomo, di ogni giorno, con i suoi problemi, i suoi bisogni, le sue
debolezze, a farmi maturare: coglievo nel volto delle mie compagne il Volto
di Dio, povero, provato, maltrattato, stanco, anche sconvolto e lì
incominciai a percepire il “messaggio” del Signore. “Perché tutta questa
sofferenza? Perché la morte, la fatica, l’ingiustizia contro il povero, l’
indifeso?”.
Andavo qualche volta in parrocchia dove visitavamo i malati, aiutavo a fare
catechismo, i bambini mi piacevano molto. Un sacerdote mi aiutò, però, a
comprendere “qualcosa” di più grande a cui il Signore mi stava chiamando,
dicendomi: “Tu desideri tanti bambini…se ti sposassi, dici che ne vorresti
almeno 10…ma ricordati che sono sempre pochi in confronto a tutti quelli del
mondo!”
Fu durante un campo-scuola ad Assisi, proprio in un giorno di “deserto”, che
mi sentii inondata di pace e avvertii un’ “attrazione” inspiegabile verso
Dio ed io intuii che mi voleva tutta per Sé; lo “capii” anche e,
soprattutto, tornando nel mio habitat naturale, quotidiano: nel lavoro, in
casa, con gli amici. Non mi sentivo più la stessa persona di prima; c’era
qualcosa di “nuovo” in me.
Cominciai a vedere le cose, gli avvenimenti, con occhi nuovi: tutto prendeva
voce e mi parlava dentro. Cominciai a farmi molte domande sul senso della
vita, del dolore, del lavoro, della malattia. Che senso aveva fare le cose,
se queste non erano indirizzate ad un valore più alto; capii che era Dio che
agiva in me.
Anche i miei genitori notarono un cambiamento; alla sera tornavo sempre più
tardi dal lavoro e alla mia mamma, che mi chiedeva spiegazioni, non dissi
nulla, fin quando non scoprii che me ne andavo in chiesa: sola con Gesù
Eucaristia. Mi piaceva molto starmene ore e ore davanti a Lui. Gli
raccontavo tutto quello che mi succedeva e gli chiedevo di intervenire in
molti casi di bisogno. Trovai anche un ragazzo, ma capii che anche se mi
fossi sposata non avrei trovato quella felicità che cercavo e allora, poco
dopo, lo lasciai. Con le amiche frequentavo il ballo, andavo in discoteca,
ma riflettevo e mi chiedevo se quei ragazzi/e erano veramente felici e mi
ritrovavo a pregare per loro. Un giorno lessi su Famiglia Cristiana che c’era
una Comunità di monache carmelitane che permetteva a giovani interessate di
fare esperienza dentro il monastero.
Scrissi loro e mi ritrovai a trascorrervi dieci giorni di ferie estive.
Vivendo con le monache, capii che era proprio lì che il Signore mi voleva e
mi aspettava da tempo. Decisi però di tornare a casa, per avvertire i miei
genitori, lasciare il lavoro, sistemare un po’ di cose. Rimasi quasi un anno
e mezzo di fuori: fu un periodo di riflessione, di confronto con me stessa e
anche di lotta; fu duro ma, alla fine, vinse il Signore. Così “approdai” al
Carmelo nelle ferie natalizie del 1990…
Ringrazio e lodo il Signore ogni giorno della mia vita per le meraviglie che
Lui compie nel cuore di ciascuno di noi, nel mio per primo!
Ho festeggiato i miei primi XXV anni al Carmelo…e la vita continua.
Suor AnnaLuisa dell’Immacolata