Elisabetta Catez (1880-1906)
“Nacque a Bourges il 18 luglio 1880. Rimase orfana di padre a sette anni. A 14 anni fece voto di verginità e, ben presto, si sentì chiamata al Carmelo. Nel 1901 entrò tra le Monache di Dijon, emettendo i voti nel 1903. Stroncata dal morbo di Addison, passò “alla Luce, all’Amore, alla Vita” della Patria il 9 novembre 1906. Vera adoratrice in spirito e verità, tra pene interiori e infermità fisiche, visse come “lode di gloria” della Santissima Trinità presente nell’anima, scoprendo nel mistero dell’inabitazione divina il suo “cielo in terra”, il suo carisma e la sua missione ecclesiale. Poco prima di morire, così espose la sua vita in cielo: “Attirare le anime aiutandole a uscire da se stesse per aderire a Dio…e di tenerle in quel grande silenzio interno che permette a Dio d’imprimersi in loro, di trasformarle in lui stesso”.
È stata beatificata da Giovanni Paolo II nel 1985”
(Emanuele Boaga, O. Carm., Con Maria sulle vie di Dio, p. 299).
Si festeggia la sua memoria liturgica l’ 8 novembre.
La Beata Elisabetta della Trinità nasce il 18 luglio 1880. Del suo cognome religioso scrive: “Io sono Elisabetta della Trinità, cioè Elisabetta che scompare, che si perde, che si lascia invadere dai Tre”. E aggiunge: “L’Amore abita in noi: perciò il mio unico esercizio è di entrare nel mio interno e di perdermi in coloro che sono ivi. La felicità della mia vita è l’intimità con gli Ospiti della mia anima”.
Questo orientamento spirituale, fondato sulla convinzione di fede nell’inabitazione divina, fu la grazia della sua vita. Era fedelissima alla progressiva illuminazione interiore che le proveniva, soprattutto, dall’approfondimento contemplativo dei testi del Vangelo e di San Paolo. Breve fu il tempo da lei trascorso al Carmelo di Digione, nel quale entrò a 21 anni: morì, infatti, sei anni dopo, il 9 novembre 1906, colpita dal “morbo di Addison”, mormorando quasi in tono di canto: “Vado alla Luce, all’Amore, alla Vita”. Aveva scritto, qualche tempo prima: “La Trinità: sono la nostra dimora, il nostro focolare domestico, la casa paterna da cui non dobbiamo mai uscire […]. Credo che in cielo la mia missione sarà di attirare le anime al raccoglimento interiore, aiutandole ad uscire da se stesse per aderire a Dio con un movimento semplicissimo, tutto amoroso, mantenendole in quel grande silenzio interiore che permette a Dio di imprimersi in esse e di trasformarle in Sé”.
Elisabetta…lunghi capelli neri, agili dita che si muovono sul pianoforte, musica e balli, escursioni e viaggi. Come ha fatto questa vivace, elegante, orgogliosa, ragazza a far entrare il suo grande mondo nello stretto di una cella carmelitana? “Voglio farmi santa per te!” scriveva…e, allora, ecco che “la piccola cella…la cara panca di legno…l’austera veste” diventano per lei un “angolo di cielo”. La dimensione delle cose non è più quella strettamente terrena, la misura di tutto: tempo, spazio, affetti, pensieri, diventano la misura infinita dell’Amore di Dio.
Appena varcata la soglia del Carmelo, si affretta a rassicurare la famiglia: “Il mio cuore è sempre lo stesso, nulla è cambiato, sono sempre vostra. Vedete? Al Carmelo il cuore si dilata e sa amare meglio ancora! […]. Al Carmelo è come in cielo, non ci sono più distanza, è già in atto la fusione delle anime […]. Nel buon Dio trovo tutte le valli, tutti i laghi, tutte le visuali”.
Molti altri pensieri potrebbe comunicarci la beata Elisabetta attraverso i suoi scritti…il suo cammino di fede, il suo cammino di accettazione della sofferenza, il suo cammino di immersione sempre più profondo nel seno della Trinità, il suo sguardo dolce e filiale verso Maria che, come “pegno della sua benedizione e del suo amore, le dona lo scapolare per rivestirla di Gesù Cristo, affinché possa camminare in Lui: via regale, cammino luminoso; affinché sia radicata in Lui nella profondità dell’abisso, col Padre e lo Spirito d’amore […]”.
Ci fermiamo qui…a noi il compito di personalizzare, con il nostro essere e il nostro operare, questo suo dono per poter ripetere insieme, in una viva comunione fra cielo e terra: “O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per fissarmi in Te, immobile e tranquilla, come se la mia anima fosse già nell’eternità. Nulla possa turbare la mia pace, né farmi uscire da te, o mio Immutabile, ma che ogni istante mi immerga sempre più nella profondità del tuo mistero”.