Teresa De Cepeda y Ahumada (1515-1582)
“Nacque ad Avila (Castiglia) il 28 marzo 1515 da nobile e religiosa famiglia e, dopo un’adolescenza ricca di promesse ma spiritualmente fredda, entrò nel Carmelo dell’Incarnazione di Avila nel 1535. Provata dapprima nello spirito e fiaccata nel corpo da malattie gravissime, rinnovata poi nel fervore, soprattutto per la sua orazione, dava inizio nel 1562 tra le sue consorelle alla riforma dell’Ordine, estesa successivamente nel 1568 anche ai religiosi.
Scrisse opere piene di altissima dottrina e comprovate dalla sua personale esperienza. Morì ad Alba de Tormes il 4 ottobre 1582 (il giorno dopo, per la riforma del calendario, fu il 15 ottobre).
Beatificata nel 1614 da Paolo V, canonizzata da Greogrio XV, è stata riconosciuta patrona degli scrittori cattolici (1965), è stata proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970 (prima donna, insieme a Santa Caterina da Siena, ad ottenere tale titolo)
(Emanuele Boaga, O.Carm., Con Maria sulle vie di Dio, p. 104).
Si festeggia la sua festa il 15 ottobre.
“Nel 1554 Teresa visse in monastero una profonda esperienza di conversione in seguito alla quale fece voto di non smettere più la pratica della preghiera personale. Nel 1562 Teresa fece la sua prima fondazione: il monastero di san Giuseppe ad Avila. Sebbene la fondazione incontrasse molte difficoltà di natura politica locale, ebbe l’approvazione del Provinciale di Castiglia, fra Angelo di Salazar. Fra Rossi, Priore Generale dell’Ordine, durante la sua visita in Spagna nel 1568 per controllare la realizzazione delle riforme del Concilio di Trento, si accorse della portata spirituale di Teresa e le diede l’autorizzazione di «aprire tanti monasteri quanti i capelli che aveva in testa». Vide che il desiderio di un nuovo stile di monastero non intendeva essere un rifiuto del Carmelo, ma il voler vivere in profondità l’ideale carmelitano in modo originale e creativo. In monastero trovò molte monache che condividevano lo stesso pensiero. S. Teresa ricevette grandi doni nella preghiera e, soprattutto, la capacità di descrivere le sue esperienze per aiutare molti nel loro cammino verso Dio. Teresa è una persona di molta praticità quando afferma che per una vita di preghiera in monastero, e ovunque, sono necessari: «L’amore l’uno per gli altri, il distacco da tutte le cose create e la vera umiltà – l’ultima è la più importante di queste tre e comprende tutto il resto» (Cammino di perfezione 4, 4). Queste tre virtù si riferiscono alla nostre relazioni fondamentali: con gli altri, con il mondo attorno a noi e con Dio. Scrive spesso del bisogno di purificare il nostro amore, perché possa portare del bene a coloro a cui è rivolto assistendoli nella crescita. Distacco significa porsi nella giusta relazione con gli altri e con le cose coinvolgendoli in un processo di purificazione.
Quando Teresa scrisse le sue opere, era una grande mistica. Dopo aver sperimentato quei momenti di luce e tenebre propri dell’esperienza dell’uomo in preghiera, seppe andare oltre; poté volgere serenamente il suo sguardo al passato e aiutare coloro che nel cammino incontravano tribolazioni. Insegnò con grande autorità e con profonda comprensione della condizione dell’uomo. Lei stessa per quasi venti anni lasciò la preghiera personale intesa come intima conversazione con Dio. E quando riprese a farla, promise di non smetterla più per nessuna ragione. Quando scrive sulla preghiera il suo obiettivo è aprirsi per ricevere il dono della contemplazione e pone in rilievo l’importanza della conoscenza di sé per compiere il cammino spirituale (Castello Interiore, 1,8). Nella contemplazione noi non dialoghiamo più con il mistero di Dio; siamo introdotti nel mistero di Dio. Ci prepariamo a ricevere questo dono, se e quando Dio vorrà concederlo, attraverso la fedeltà nella preghiera e nella vita quotidiana. Chi riceve il dono della contemplazione, è trasformato. La verifica di una crescita autentica nella preghiera è che la persona diventa più semplice, più umile, più amorevole, e così via. È vitale che l’individuo continui a cercare Dio e non se stesso. S. Teresa sta molto sul pratico. Mette in guardia contro la centralità di sé nell’orazione. La via per l’unione con Dio non dipende da ciò che si sente pregando, ma dal come si risponde a Dio nella vita di ogni giorno”
(Joseph Chalmers, O. Carm., Nella Terra del Carmelo, 23-26).
Teresa di Gesù è una delle personalità vertice della riforma cattolica, una santa la cui vita ed esperienza spirituali s’inseriscono nel movimento suscitato nella Chiesa dal Concilio di Trento.
“Figlia della Chiesa”, secondo un’espressione che le era cara e che mormorò morendo, in essa e con essa cercò la perfezione intesa come comunione ininterrotta con il Cristo attraverso l’orazione, vista quale dialogo di amicizia e come servizio di piena disponibilità a Dio. La sua classica definizione della preghiera è in linea con quella dei suoi predecessori al Carmelo: “L’orazione mentale non è altro che un intimo rapporto di amicizia, un frequente intrattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo essere amati” (Vita; 8, 5).
Nel 1557 in seguito a un incontro di grazia col Cristo sofferente (Vita; 9, 1), ha la sua “conversione” decisiva, nella quale è confermata dalla lettura delle Confessioni di S. Agostino.
Per lui il Cristo era tutto: al centro della sua spiritualità è la sacra umanità del Signore Gesù, pensato, cercato, desiderato, servito con tale fede, ardore e delicatezza da far pensare che la persona di Cristo fosse per lei una realtà viva e vera con la quale continuamente s’incontrava e trattava. “Quanto più un’anima va innanzi, tanto più inseparabile diviene la sua compagnia col buon Gesù” (Castello Interiore; 6, 8, 1). “Ho sempre riconosciuto, e tuttora riconosco, che non possiamo piacere a Dio né Dio accorda le sue grazie, se non per il tramite dell’umanità Sacratissima di Cristo, nel quale ha detto di compiacersi”. Da tale amore per il Cristo sbocciò in Teresa l’ardore per la salvezza delle anime. Lo zelo apostolico che la consumò è una componente essenziale della sua santità, un aspetto del suo senso della Chiesa di cui si sentiva membro vivo che doveva operare, patire, pregare perché tutto il Corpo mistico ne beneficiasse. “Che mi importa di stare in Purgatorio fino al giorno del giudizio, se per le mie preghiere potesse salvarsi un’anima sola? Che dire poi trattandosi di molte e dell’onore di Dio” (Cammino di Perfezione; 3, 6).
“La mortificazione non deve altro servire che al profitto della anime” (Lettere; 367). Attaccata alle minime leggi e cerimonie della Chiesa, amava la Messa e l’Ufficio divino che, con l’orazione mentale, volle al centro della vita della sua riforma. Fin dall’infanzia si sentì intimamente legata alla Madonna che si era eletta per madre alla morte della mamma nel 1529, assicurando che d’allora “non vi fu cosa in cui mi sia raccomandata a questa Vergine sovrana senza che ne venissi subito esaudita: essa infine mi fece tutta sua” (Vita; 1, 7).
Il rosario fu l’ossequio d’amore che non smise mai nella sua vita, mentre fu “nemica” dichiarata delle devozioni troppo ricercate. Nutrì un culto speciale per S. Giuseppe che definì maestro di orazione, invitando tutti ad essergli devoti “perché la devozione a lui è un grande mezzo di comunione col Cristo” (Vita; 6). L’intensità della vita spirituale, la gravità delle malattie e delle sofferenze, i numerosi viaggi, non impedirono a S. Teresa di scrivere quelle stupende opere in cui ci consegna la sua esperienza mistica e la sua dottrina. Cronologicamente – tenendo presenti solo le opere maggiori – il suo primo libro è quello della “Vita”, cioè l’autobiografia, da lei intitolata libro “delle misericordie di Dio” (la prima redazione è del 1562).
Nel 1566 scrisse il “Cammino di perfezione”, più volte poi ritoccato e corretto da lei stessa. Fu pensato come uno scritto didattico per le sue monache.
Nel 1577 ebbe l’ordine di scrivere il “Castello interiore”: in sette mansioni descrive l’ascesa dell’anima a Dio. Le “Fondazioni” sono un’opera piacevole e viva nella quale la Santa racconta l’origine dei vari “colombai della Vergine”, come chiamava le sue case. La dottrina di Teresa acquista pieno significato se vista nel contesto delle sue radici carmelitane, oltre alle tante altre influenze che ricevette nei contatti coi più grandi teologi e Santi del suo tempo in Spagna, proviene però in maniera speciale dalla sua esperienza mistica. Si tratta di un carisma di scienza e di sapienza col quale, sotto l’azione speciale dello Spirito Santo, riuscì a intravedere e a descrivere l’opera misteriosa di Dio nel battezzato che si abbandona completamente al suo dinamismo santificatore.
Santa Teresa sa bene che i carismi coi quali Dio accompagna talvolta la sua azione nell’anima sono Suo dono, ma ne riconosce anche i pericoli e così, nei suoi scritti, afferma che non vanno né chiesti né desiderati (Castello Int. 9, 14-15).
“La somma perfezione non sta nelle dolcezze interiori, nei grandi rapimenti, nelle visioni e nello spirito di profezia, bensì nella perfetta conformità del nostro volere a quello di Dio, in modo da volere anche noi – e fermamente – quanto conosciamo che Egli vuole, accettando con allegrezza tanto il dolce che l’amaro, quando in questo è il Suo volere” (Fondazioni; 5, 10). Teresa di Gesù: donna dalle grandi vedute e dai desideri infiniti! Quando si trattava dell’onore e del servizio di Dio non vi era nulla che la trattenesse. “O morire o soffrire”, era il suo dilemma interiore lanciato con audacia verso il cielo.
Il 20 settembre 1582 “molto vecchia e stanca”, com’ella stessa si definisce, dopo un ennesimo viaggio per seguire personalmente le sue fondazioni, arriva ad Alba de Tormes, disfatta, colpita da emorragia…I mezzi di trasporto a quell’epoca erano carri rozzi e sgangherati, ma lei era riuscita a cambiare quell’ambiente, tutt’altro che monastico, in un vero monastero ambulante, dove con il campanellino che ancora si conserva si davano i segni della preghiera, della ricreazione, del silenzio.
Il 1 ottobre dovette mettersi a letto, il 3 mentre le era recato il viatico si illuminò e sembrò riprendere le forze per il sentimento con il quale esprimeva la sua gioia di incontrarsi finalmente con Dio. Spirò la sera del 4 ottobre 1582. “Per chi serve Dio mi pare che morire debba essere facilissimo…”, aveva scritto nella sua Vita (38,5).