Prudenza Pisa (1621-1699)
“Nacque a Napoli, il 24 ottobre 1621. Il giorno stesso fu battezzata nella chiesa parrocchiale di “San Giovanni Maggiore” e le fu imposto il nome di Prudenza.
Nel 1623, quando Tenza aveva appena due anni, Niccolò, d’accordo con la moglie, decise di trasferire la famiglia a Capri. L’isola si trova a tre miglia dalla punta della penisola di Sorrento e a sedici da Napoli, di fronte al Vesuvio.
La quiete della campagna, l’aria salubre e la vista del mare limpido giovarono alla salute dei bambini; ma Tenza approfittava della solitudine del luogo per ritirarsi in posti appartati a riflettere sulle cose divine. Era tanto il desiderio di vivere in solitudine e parlare con Dio, che usciva di casa di buon mattino e non vi ritornava se non quando la chiamava la mamma per il pranzo”.
(Stefano Possanzini, O. Carm., La venerabile Serafina di Dio, carmelitana).
“Già terziaria domenicana, e forse pinzochera in seno alla sua famiglia, Prudenza all’età di quarant’anni, fondò a Capri un conservatorio dove, con alcune giovanette, visse dedicata al Signore. La comunità, retta da Costituzioni proprie date dalla fondatrice ispirandosi a quelle di Santa Teresa di Gesù e basate sulla Regola Carmelitana, iniziò nel 1672 la pratica di far assumere ai suoi membri nomi religiosi. Aumentato il numero delle sorelle oblate, la venerabile fondò altre case che finché visse resse personalmente e, continuando l’espansione delle fondazioni anche dopo la morte, esse si organizzarono in “Congregazione del SS. Salvatore”. Preoccupazione fondamentale della Venerabile fu la cura della formazione delle sue oblate alla vita di comunione e di fraternità. Per questo scrisse nel 1675 un trattatello sul senso della vita comune, vista in primo luogo come riflesso della vita trinitaria. Nutrì una profonda devozione mariana.
Morì in Capri il 17 marzo 1699”
(Emanuele Boaga, O. Carm., Con Maria sulle vie di Dio, p. 246).
La Venerabile Serafina di Dio, donna di grande fede e amore al Signore, risulta una figura molto complessa. Da ragazzina fece segretamente il voto di verginità, tagliò i suoi bei capelli e vestì un vecchio abito di terziaria domenicana. Il padre, il cui desiderio era di maritare questa figlia, quando la vide così conciata, andò su tutte le furie, tanto da non volerla più riconoscere per figlia. La Venerabile ne ebbe molto a soffrire, ma accettò tutto per amor di Dio, senza desistere dal suo desiderio.
Nel 1643 muore di tisi la sorella Vittoria, ventenne, alla quale era spiritualmente legata e dopo meno di due anni muore anche il padre dopo averle chiesto perdono per averla tanto contrastata nella sua vocazione.
Nel 1656 morì anche la madre, colpita da peste. Nel 1661 la Venerabile si trovava a Napoli. Entrò nella basilica del Carmine Maggiore e qui, davanti all’immagine della Vergine Bruna, sentì la chiamata esplicita a vestire l’abito carmelitano e ad aprire una casa religiosa. Seguendo questa chiamata, aprì a Capri la prima casa dove accolse le prime giovani. Non mancarono difficoltà dovute sia alla povertà per cui spesso mancava il necessario e sia a problemi interni della comunità.
La Venerabile è stata, come tutti i Santi, un’innamorata di Dio e della sua divina Volontà e voleva trasfondere questo amore in tutte le creature. Il suo esilio terreno è stato un Paradiso, perché ha sempre goduto della presenza del Signore. L’altro polo della sua vita spirituale fu la presenza di Gesù nella sua divinità e umanità, contrariamente alle idee quietiste di quel tempo che ritenevano un ostacolo alla contemplazione della divinità la devozione all’umanità di Cristo. Aveva un grande amore all’Eucaristia e, quando entrava in qualche chiesa, si accorgeva se c’era o meno il Santissimo. Sentiva la presenza di Gesù in ogni luogo del Monastero e davanti a Gesù amava passare lunghe ore del giorno e, quando poteva, anche le notti intere.
Eppure quest’anima tanto innamorata dell’Eucaristia fu sottoposta a una delle prove più dolorose che la tenne chiusa in cella per 2 anni e mezzo senza poterne uscire, poter prendere parte alla santa Messa e fare la Comunione. Ciò a causa di molte dicerie e calunnie che circolavano sul suo conto per cui l’Inquisizione Romana la sottopose a un lungo e penoso processo che sopportò con pazienza divina. Rimessa in libertà, riprese la sua vita regolare stando al suo posto di umile religiosa. Ubbidì agli ordinamenti della Sacra Congregazione e ai superiori.
La madre Serafina di Dio ebbe molti doni straordinari quali: locuzioni interiori, visioni, estasi, stimmate, ma mai se ne gloriò, comportandosi sempre con prudenza e discrezione. Dopo la morte, avvenuta il 17 marzo 1699 si verificarono sul suo corpo fenomeni strani per cui il Vescovo ne autorizzò l’autopsia.
Nel suo cuore furono trovati i segni della trasverberazione. Dopo la morte crebbe la fama di santità e subito si diede inizio al processo di beatificazione, che purtroppo, per cause svariate, non si è mai concluso.
La madre Serafina ci ha lasciato numerosi trattati, tra cui ricordiamo:
– Trattato sopra l’orazione di fede;
– Trattato sulla santa orazione mentale;
– Trattato dell’amore di Dio e della divina presenza;
– Trattato sulla vita comune;
– Trattato sulla conformità alla volontà di Dio.